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Come già evidenziava il precedente “Incuintretimp”, suo esordio da solista, il polistrumentista (chitarre, basso elettrico, bouzouki) e autore friulano di Claut è un nome da tenere in considerazione. “Truòisparìs”, “Sentieri spariti” in italiano, è un album che mette al centro le sfumature linguistiche dei paesi della sua terra (Andreis, Barcis, Cimolais, Claut, Erto e Casso), per raccontare piccole storie, ispirate a immagini e personaggi della Valcellina, nell’alto pordenonese, una valle che separa le Prealpi carniche da quelle bellunesi. In “Dulà che i truòis i sparìs”, l’autore rende chiaro il mondo dal quale proviene, cantando: «Sono nato dove l’acqua scende di corsa / sono nato dove il tempo ha il freno a mano / dove hai sete anche dopo la sbornia / dove i sentieri spariscono / ma se un paese si spegne non se ne accorge nessuno / tutti parlano a vanvera / e si piange quando è tardi». È un disco pulito, sobrio e diretto, che mette in riga canzoni scritte dallo stesso Giordani e altre composizioni le cui liriche provengono da poeti e scrittori della Valcellina: Federico Tavan (“Uchì”, “Picial Cjant”, “Ah se saveve”, “Ce prôvi”), Giuseppe Malattia (“Bionda o bruna” e “No stai vei poura”), Andrea Nicoli (“Par no page’ al dathio” e “Dusc compaign”) e Mauro Corona (“La so scianta”). Il friulano ha cucito un vestito sonoro folk di matrice americana, con aperture Irlandesi e flamenco. Il timbro caldo di Franco domina, ma il tutto si esprime con maggiori cambi di marcia e di umore rispetto al debutto di “Incuintretimp”, pur restando marcata l’impronta intima e i rimandi a Gang, Massimo Bubola o ai conterranei Lino Straulino e Luigi Maieron. Nel bel gruppo di musicisti che accompagna Giordani ci sono Massimo Gatti (mandolino), Jens Kruger (banjo), Michele Pucci (chitarra classica), Giulio Venier (violino); Claudio Sanfilippo duetta con lui in “Ega Neigra”, una canzone dal temperamento buboliano sulla tragedia del Vajont. Tra le altre sue composizioni, spiccano “Bepi Manarin” e “Revelli”, quest’ultima dedicata al calciatore friulano del Torino, che perì nel disastro di Superga. Oltre agli interventi scritti che inquadrano il mondo valligiano, il CD contiene i testi delle quattordici canzoni, foto e un racconto inedito di Mauro Corona.

Ciro De Rosa / Blogfoolk n. 329 del 26 ottobre 2017

Alla sua seconda prova discografica, Franco Giordani conferma il suo talento nel raccontare con le canzoni. Storie minime che ricevono la dovuta grande attenzione e un procedere a passi studiati lungo sentieri di montagna che costringono alla fatica ma regalano meraviglia. Non a caso lo stesso titolo del disco Truòisparìs è un neologismo costruito sulle parole friulane che indicano “sentiero” e ”scomparso”: Percorsi segnati appena che Franco si ostina a percorrere con volontà testarda, mentre sotto, nella valle, scorre l’acqua e quel suono richiama sentimenti contrastanti alla memoria. Un affresco di epica popolare costruito su personaggi e luoghi difficili da conquistare ma pronti a mostrarsi generosi. Gente partita per il mondo e tornata a quelle montagne, famiglie cancellate dalla massa mugghiante dell’acqua nella tragedia immane del Vajont, solitudini che affilano la lama del ricordo all’osteria la sera, bevendo in silenzio mentre di fianco qualcuno urla giocando alla morra, in violazione di una legge scritta da gente di città. Gli stessi che negli anni Cinquanta vietavano il flipper ai minori, perché nelle spinte pelviche che accompagnavano quel gioco si leggeva un sovvertimento della virtù. Che ne sanno quelli che vietano, quelli che fanno le leggi, quelli che arrivano dalla capitale qui, nella perduta periferia dell’impero a raccogliere testimonianze dopo la tragedia per poi subito dimenticare.Una intera comunità, una valle e una lingua sono concentrate nelle canzoni di Franco Giordani, nella loro essenza identitaria che non è ostacolo allo scambio ma solo buona nozione del punto da cui si parte. La Valcellina è terra di personaggi formidabili e di potenti narrazioni. Mauro Corona, scrittore, scultore e uomo di rocce e boschi, mette a disposizione un suo racconto inedito per questo disco, a saldare il patto di raccontare quella terra difficile e segnata. E poi i musicisti che in questo disco gareggiano per regalare il meglio della loro arte e a cui si aggiungono ospiti di prestigio come Claudio Sanfilippo,Massimo e Icaro Gatti, Jens Kruger. Una sera di fine estate stavo salendo in Carnia per un concerto di Lino Straulino ed ero insieme a Valter Colle. Se esistesse qualcosa di comparabile allo Smithsonian Institute in Italia, sarebbe idealmente concentrato tutto nell’archivio e nella vita di Valter. Instancabile documentatore e antropologo affabulatore, Valter ha al suo attivo, come editore, un catalogo incredibile di dischi e libri e dividiamo oltre alla passione anche alcuni lavori e un’amicizia robusta. Mentre viaggiamo verso la montagna Valter mi fa ascoltare in anteprima il disco di Franco Giordani. Ega Neigra riempie l’abitacolo dell’auto e ci obbliga al silenzio. Quella sera, tra andata e ritorno, credo di aver chiesto a Valter di rimettere quel pezzo venti volte. E la notte, nella mia casa nel bosco friulano, sentivo la Malina, che a chiamarla così si capisce che è acqua di cui non puoi mai fidarti, scorrere nella valle e continuavo a portare il tempo di quella ballata. Un disco imperdibile se ancora possiamo immaginare che a salvare il mondo saranno i racconti e la memoria, la maledetta memoria.

Giorgio Olmoti / L'Isola della Musica Italiana aprile 2018

Truòsparis  è un cd veramente bello, molto più di un disco bello; prosegue il segmento di Incuintretimp e lo migliora, lo amplia e lo rafforza ed esprime una carattere e una poetica che, nella superficialità quotidiana che ci attanaglia, è cosa rara e preziosa. Un bene prezioso come una antica moneta d’oro. Un album che è un viaggio in terra di montagna, di acque, poeti e scrittori da cui, come già espresso in premessa, Giordani trae spunto raccontando il quotidiano, angoli di vita e le piccole cose, personaggi, accadimenti ambrati e tragici come il Vajont (vedi la poetica drammatica di Ega Neigra). I suoni del cantato che vive di una sonorità propria e i suoni degli strumenti che aguzzano il folk oltre il folk, musicisti di talento e illuminati dal trasporto della passione, un package ricco e lussuoso con un booklet di 46 pagine che riporta i testi e le traduzioni dal dialetto, annotazioni, immagini e un racconto inedito di Mauro Corona, fanno sì che Truòsparis ci convogli in un viaggio mai banale, mai ordinario e possa appiccare la vampata per lo spunto a qualche riflessione.

Franco Giordani non è un novellino di primo pelo, il suo è un curriculum policromo che lo vede implicato in vari progetti di buona qualità culturale e collaborazioni con Luigi Maieron e con i parmensi Mé Pék & Barba; è un giovanotto con un gran talento che non viene sbandierato a destra e manca e la sua modestia gli fa onore. Tra i musicisti che partecipano a questo progetto menzioniamo Massimo Gatti al mandolino, Elvis Fior alla batteria, Icaro Gatti al contrabasso, Giulio Venier al violino e Tony Longheu alla slide. Tra le varie tracks, tutte da scoprire come piccole pepite d’oro nel torrente sonico, citiamo obbligatoriamente la malinconica Revelli,splendido omaggio a Ruggero Grava, calciatore del Torino, ed è una vicenda traboccante di emozioni, storia di miseria, emigrazione e il riscatto nei piedi e nel pallone e nel momento più alto un aereo che il 4 maggio del ‘49 cade giù nella sciagura di Superga; una canzone che da sola vale l’acquisto dell’opera; al banjo Jens Kruger. Ma non possiamo non indicare il mandolino struggente di Dulà Che I Truòis I Sparìs (dove i sentieri spariscono); l’ironia fatalista dell’indecisione tra Bionda O Bruna con un apprezzabile reticolo strumentale; i sentori di una chitarra flamenco in Bepi Manarin dove tracimano mestizia e memorie uggiose; l’amara disillusione al femminile di La So Scianta. 
Ega Neigra ci riporta alla tragedia del Vajont, è un pugno diretto che spacca la corteccia e sferza accuse che non dovremmo mai scordare, brillante e suggestivo l’arrangiamento e l’atmosfera narrativa che richiama certe cose di Bubola. La gradevolezza poetica di No Sta Vèi Pòura (non aver paura); il bluegrass scintillante della frizzante Par No Pagé Al Dàthio (per non pagare il dazio) ci fa alzare il volume e battere il pedino mentre le conclusive Dusc Compàign (tutti uguali) con il confine della malinconia e le narrazioni di Ce Pròvi (cosa provano) con gli strumenti che architettano minimalista poesia sonica suggellano uno dei dischi italiani più affascinanti e profondi di quest’anno.

Claudio Giuliani / Mescalina 7 novembre 2017

 

Ha una voce bella e aspra Franco Giordani, come la sua terra, la Valcellina, montagna dell'alta provincia di Pordenone. In Truoisparis (Sentieri Scomparsi) un avvincente folk elettroacustico cantato in almeno tre lingue diverse. Con anche un racconto di Mauro Corona

Guido Festinese / Alias - Il Manifesto

 

Massurìe è una località: un punto, tre case, il cielo, i boschi. Claut, il comune. Pordenone, la provincia. Dolomiti friulane: l’aria, il patrimonio, anche il destino. Comincia qui la breve storia di Ruggero Grava, centravanti del Grande Torino, riserva di Guglielmo Gabetto. Faccia e fisico scolpiti nella roccia: una via di mezzo fra Mario Battaglini, il rugby di Rovigo, e Primo Carnera, il pugilato d’Italia. Calciatore, appunto. La ballata del calciatore s’intitola “Revelli”, parole e musica di Franco Giordani (voce e chitarra, con Massimo Gatti al mandolino, Jens Kruger al banjo, Icaro Gatti al contrabbasso e Elvis Fior alla batteria), dall’album “Truòisparìs”, che in friulano significa sentieri scomparsi. E per non far scomparire né Grava né la lingua friulana, ecco questa storia, questo racconto, questa canzone. 

Marco Pastonesi / Sport Senators settembre 2017


Nella storia di Ruggero Grava, raccontata, o meglio cantata con bravura e rara sensibilità da Franco Giordani all'interno di un disco nel quale risuona tutta la bellezza della lingua friulana nelle varianti della montagna valcellinese ritroviamo elementi cari a noi tutti come la lingua, le radici, l'eligrazione, il lavoro duro, la bellezza e la poesia dello sport, del calcio in particolare.

Lorenzo Fabbro, Presidente dell'Arlef / Il Messaggero Veneto, 20 settembre 2017

 

Truòisparìs” è l'ultimo cd di Franco Giordani. Il singolo di punta "Revelli", è dedicato alla storia di Ruggero Grava, calciatore clautano del Grande Torino, morto nell'incidente aereo di Superga. Il disco contiene testi di poeti e scrittori della Valcellina come Tavan, Malattia della Vallata, Corona e altri. Di interesse particolare, oltre al livello artistico e musicale, anche l'aspetto culturale del linguaggio: Giordani ha di fatto utilizzato per i suoi testi cinque tipologie di lingua friulana di Andreis, Barcis, Cimolais, Claut ed Erto.

Redazione Radio Rai Friuli Venezia Giulia, programma "Vuè e fevelìn di ...", gennaio 2018

C'è un altro piccolissimo disco di cui voglio parlare, fatto in economia, con pochi strumenti e poche chance di varcare i confini del Friuli (ebbene ci risiamo!): "Truoisparis" di Franco Giordani. Un disco talmente piccolo ... che non è ancora uscito, ma uscirà per la Block Nota di Valter Colle, garanzia di qualità. Due spiegazioni: chi è Franco Giordani? Ha suonato a lungo che Luigi Maieron, è un polistrumentista che viene dalla Valcellina e che un paio di anni fa ha deciso di saltare il fosso e di mettersi a cantare e a comporre in proprio, ma sempre con un occhio alla sua terra e ai grandi nomi della poesia della sua terra, che rientra sotto il nome complessivo di Friuli. "Truoisparis" è un titolo che suona misterioso, forse anche un po' minaccioso: si comprende che c'è la radice di "sparito", ma i truois? Cosa sono i truois? Al di là del fatto che l'iPad non vuole assolutamente farmeli scrivere. Sono i sentieri. "Sentieri spariti" quindi è il titolo dell'album e il senso del racconto diventa subito chiaro. "Sono nato dove l'acqua scende di corsa / sono nato dove il tempo ha il freno a mano / dove hai sete anche dopo la sbornia / dove i sentieri spariscono/ Ma se un paese si spegne non se ne accorge nessuno / tutti parlano a vanvera / e si piange quando è tardi". Ma Franco non si è accontentato di mettere assieme un paniere di belle canzoni. No, ha deciso che i sentieri spariti avevano bisogno di una trama e su questo spunto ha costruito un concept album, dedicato alla sua terra, la Valcellina. "Sono veramente orgoglioso del risultato - mi ha scritto - Ho utilizzato le 5 varianti linguistiche presenti nei paesi di Andreis, Barcis, Cimolais, Claut ed Erto. Alcune composizioni sono mie, e per le altre ho utilizzato testi dei poeti e scrittori della Valcellina: Federico Tavan, Giuseppe Malattia e Mauro Corona. C'è anche un brano dedicato a Ruggero Grava, nato a Claut e morto nel disastro di Superga col grande Torino. I temi sono vari, l'abbandono della montagna, l'amicizia e il Vajont (io), l'esistenziale (Tavan) la condizione femminile (Corona) gli affetti (Malattia) la guerra e la disobbedienza civile (Nicoli)". A tutte queste storie Franco ha messo le musiche, suonando in prima persona chitarra elettrica e acustica, basso elettrico, bouzouki, voce, e facendosi appoggiare da un pugno di uomini di valore: in primo luogo il mandolinista Massimo Gatti che da Milano si è trasferito in Friuli. Sulla sua onda sono arrivati Claudio Sanfilippo (la formazione e il modo complessivo dell'album richiama infatti quel gioiellino che è "Ilzendelswing"), il figlio Icaro Gatti (giovanissimo e pieno di talento), il chitarrista Michele Pucci e Jens Kruger che era suo ospite ed ha registrato il banjo in "Revelli". Per non lasciare niente di intentato, il libretto contiene anche alcuni racconti inediti di Mauro Corona. Che musica fa Giordani, che tipo di canzoni? Folk? Non solo. Possiamo dire che si muove nell'ampio solco di Maieron e Lino Straulino, contaminando temi italiani e americani. Due anni fa è uscito il suo primo album "Incuintretimp", un lampo nella notte. Il difficile era ripetersi e invece la missione è compiuta. Le uscite di Franco fanno quell'effetto di quando il Buscadero annunciava un album dello sconosciuto, allora, Johnny Flynn o di Ryan Bingham e noi correvamo tranquilli ad acquistarlo. Ecco, se vi piace la musica acustica, la musica "gentile", che ci viene porta con grazie e spessore, questo è il disco che fa per loro. "Dusc compaign", "Ega Neigra", "Revelli" e "Dula' che i truois i sparis" stanno forse un gradino sopra le altre. Ma come possiamo non citare "Ce provi", la canzone che chiude l'album? "Cosa provano le persone normali quando si innamorano / quando fanno autostop e nessuno li fa salire / Cosa provano le persone normali quando piove e si bagnano / Quando gli muore un parente una madre una zia / Cosa provano le persone normali quando sentono una canzone / Cosa provano le persone normali quando leggono una poesia?" Cosa provano?
Bella domanda Franco.

Giorgio Maimone / La Brigata Lolli, 6 agosto 2017


Il polistrumentista friulano torna con la seconda opera autografa. Questa volta si sposta in Valcellina dove utilizza una personale miscela di dialetti per dipingere, attorniato da ospiti illustri, piccoli-grandi affreschi di provincia. Il curatissimo booklet contiene anche un racconto inedito di Mauro Corona

Quando vedi Franco Giordani, con la sua zazzera ribelle e quel sorriso sempre sincero, ti aspetti una via di mezzo tra Donovan, Rino Gaetano e Jeff Buckey. Poi ti ricordi che, di base, trattasi di un esperto e raffinato polistrumentista dalle spiccate influenze folk ma anche dalle passioni ben più r’n’r di quanto non voglia dare a intendere (non tiriamo fuori l’abusato e terrificante termine ‘menestrello’, please: lasciamolo pure a chi non riesce a distinguere un Dylan da un Arlo Guthrie o un Branduardi e un Ivan Graziani da un Nick Drake e un Ian Anderson…) che solo nelle ultime stagioni ha ritenuto, facendo sfoggio di grande umiltà, di essere supportato da una creatività adeguata, una voce matura e una capacità espressiva tanto varia quanto completa in tutta la sua gamma.

L’ennesimo architetto prestato alle sette note (o, forse, sarebbe quasi il caso di affermare il contrario…), uscito oltremodo soddisfatto e finanche ricco di riconoscimenti ufficiali dall’esordio discografico in veste solista datato 2015, torna dunque con un secondo lavoro ancor più complesso, coraggioso e impegnativo addentrandosi in una personale marcia lungo una serie complicatissima e intricata di ‘sentieri scomparsi’.

È proprio questo, infatti, il significato del titolo Truòisparìs (neologismo con due accenti che unisce i vocaboli Truòis + sparìs) che inizia a inerpicarsi partendo da quelle vette già scalate con il precedente InCuntreTimp (InControTempo: arguto gioco di parole che consente di far ruotare a piacimento le sue singole sezioni: ‘in’, ‘contro’, ‘incontro’, ‘tempo’ e ‘controtempo’) con il quale il Nostro utilizzava il dialetto delle sue zone (partendo dal friulano più puro per penetrare nel vernacolo locale fino alla variante estrema del clautano, direttamente dalla sua infanzia spensierata) per mettere in musica intuizioni poetiche da bardo urbano.

Questa volta, però, Giordani esce ulteriormente dagli schemi geografici abituali e, proprio come anticipato dallo scatto di copertina che lo vede inerpicarsi (immortalato di spalle e con la chitarra acustica a tracolla) lungo un sentiero ricoperto di foglie in una giornata pedemontana particolarmente uggiosa e dichiaratamente autunnale, punta dritto verso i segreti della Valcellina (alta provincia di Pordenone) che lui stesso presenta come “terra di montagna, di acque, di poeti e scrittori”. Da tutto ciò viene tratta ispirazione “per raccontare piccole cose, personaggi più o meno conosciuti ed eroici o fatti sconvolgenti come la tragedia del Vajont”. Un percorso originale e potente intrecciato grazie a un linguaggio straordinariamente ‘sonoro’ che utilizza forti varianti tra l’abituale friulano occidentale, l’arcaico bellunese e persino il cadorino con mille varianti se ci si sposta tra Andreis, Claut, Barcis, Erto e Casso e Cimolais. Un packaging più da libreria che da music store, curatissimo e ricchissimo non solo di crediti e testi opportunamente tradotti ma anche di scatti mai gratuiti o autoreferenziali, sempre preziosi per consentire di ‘leggere’ l’opera come fosse un cd e di ‘ascoltarla’ come fosse un misterioso libercolo di leggende agresti. Senza dimenticare, oltre ai musicisti abituali, la partecipazione straordinaria di ospiti preziosi e talentuosi come Massimo e Icaro Gatti, Jens Kruger e Claudio Sanfilippo, mentre l’amico (e, in un certo senso, ‘padrone di casa’…) Mauro Corona mette a disposizione un inedito racconto autografo.

Quattordici le piccole tappe per coprire insieme a Giordani i suoi Truòisparìs. Un’escursione impegnativa e drammatica, ma anche leggiadra, attraverso la quale si respira aria di poesia: non è un caso che lo spunto iniziale per questo lavoro sia giunto dalla moglie Barbara Floreancig, a sua volta apprezzata autrice, mentre lo stesso artista si sia imposto in svariate rassegne riservate alle composizioni in versi. Certo, la sicurezza derivante dall’essere stato tra i finalisti della Targa Tenco nel 2015 e i lustri formativi sul palco e in sala di incisione che lo hanno portato a diventare collaboratore storico di Luigi Maieron, senza disdegnare formative tappe personali con altre band e altre prospettive di genere, si fanno sentire in termini di personalità e autocontrollo. Del resto, uno che ha spalleggiato senza timori reverenziali con (e, soprattutto, guadagnandosi l’incondizionato rispetto di…) personaggi del calibro di Michele Gazich e Davide Van De Sfroos, solo per aggiungere altri nomi di spessore, non può temere il giudizio della critica e dell’ascoltatore comune. Non è perciò, e una volta per tutte, un caso che anche questo lavoro abbia visto la luce sotto questa forma fuori dagli schemi e dalle logiche di mercato, perché Giordani, partendo dalle scontate qualità di poliedrico musicista e ricercatore corteggiatissimo per la sua perizia davanti a praticamente tutti gli strumenti a corda, ha voluto soprattutto ‘raccontare’ utilizzando la musica come semplice, ma ovviamente curatissimo, sottofondo per ‘accompagnare’ i suoi racconti. E, per farlo, ha scelto di giocare non più in casa, andando coraggiosamente in trasferta. Approfittando dei più facili approcci con le parole del suo idioma quotidiano, ma anche di rischiare con temerarietà allargandosi a linguaggi e forme di espressione per lui inediti.

Da eterno cantastorie, il Nostro ha progressivamente scoperto dentro di sé una sensibilità poetica che un tempo, evidentemente, teneva abilmente celata tra dita impegnate piuttosto a sfiorare lo strumento o chiusa a doppia mandata e con un pizzico di timore nei cassetti dell’anima. L’obiettivo, questo è chiaro, è quello di fondere canzone d’autore e radici, songwriting moderno e musicalità d’altri tempi, professionalità allo strumento e timidezza da quasi neofita al microfono, nubi di polvere e gocce d’acqua, muschio e asfalto.

Così, è saltato fuori un cd che sorprenderà chi si aspetta di avere a che fare ‘soltanto’ con un talentuoso pluristrumentista; ma anche un cd che ‘chiede’ di essere riascoltato per poter essere compreso ogni volta in una maniera diversa. Un dischetto nel quale la cura dei particolari si perde nell’immediatezza del complesso e nel quale il complesso non può prescindere dalla minuzia dei particolari.

Un cantautorato accessibile a tutti e una ricerca subito esplicita per musicofili appassionati, in sostanza, si fondono dando vita a un progetto privo di barriere linguistiche e di ruffianerie nei testi. Quasi tutte le canzoni sono ballate e, salvo prova contraria, mai melense o ripetitive. Tanto nelle tematiche quanto nella musicalità che approfitta anche della fisa di Ulisse Tonon, nonché della chitarra di Dino Di Giacomo.

Uchî è un intro essenziale di una manciata di secondi basato su una poesia di Federico Tavan, sorta di manifesto preliminare per l’intero lavoro (“Qui si vive in bianco e nero e si urla a colori…”) e per lanciare con leggiadria la successiva Dulà che i truòis i sparìs (Dove i sentieri spariscono) che introduce in maniera struggente in un mondo dove il mandolino pare condurti per mano. Bionda o bruna (a sua volta ispirata da una poesia di Giuseppe Malattia) continua su questi lidi che profumano di medio Evo, mentre la successiva Revelli costituisce un omaggio a Ruggero Grava, calciatore del Grande Torino perito insieme ai compagni di squadra nella tragedia aerea del 1949 sul colle di Superga. Nativo di Claut ed emigrato giovanissimo dal Friuli alla Francia insieme alla famiglia, venne a torto ritenuto per molti anni un atleta transalpino: ospiti di questo omaggio al Maciste clautano tra il malinconico e il pittoresco anche il prestigioso banjo di Jens Kruger.

Picial cjant (Piccolo canto) musica in maniera struggente alcuni versi di Tavan, mentre la successiva Bepi Manarin, brillante e cadenzata con profumi di flamenco con la complicità della chitarra classica di Michele Pucci, costituisce un omaggio alla memoria di un amico e piccolo-grande eroe musicale di provincia. La so sciànta (La sua storia, tratta da La ballata della donna ertana di Corona) conduce al giro di boa con la fisa di Ulisse Tonon a fiancheggiare una drammatica storia tutta al femminile con sonorità che, tuttavia, lasciano spazio a soffi di allegria e serenità.

La voce di Giordani, a volte, ricorda per tonalità, espressività e voluto autocontrollo persino quella di Pierangelo Bertoli, benché il friulano dia sempre e piuttosto la sensazione di rifugiarsi tra le fronde dei suoi boschi. Ah se saveve (Se avessi saputo) prosegue con garbo ed essenzialità, parafrasando ancora Tavan e facendo esordire il violino di Giulio Venier e le percussioni di Elvis Fior. E lancia a sua volta quell’Intro Ega nèigra che, grazie alla drammatica introduzione del sintetizzatore di Vittorio Vella e dalle voci estrapolate da un vecchio servizio della Rai, riporta a galla il dramma di Erto e Casso grazie a soli 57” di lancio: a Ega nèigra, unico episodio parzialmente non dialettale con il supporto vocale di Sanfilippo e la slide di Tony Longheu, il compito di trascinare con parole di accusa in territori espressivi assai cari a Massimo Bubola uno dei passaggi più ruvidi e polverosi dell’intero lavoro.

No sta vèi pòura (Non avere paura, parole di Malattia) è una sorta di ninna nanna che potrebbe essere uscita da qualche prova microfonata della Seeger Session Band, attitudine bluegrass con Steve Martin in veste di ospite potenzialmente ideale che emerge in maniera esponenziale nella successiva Par no pagè al dàthio (Per non pagare al dazio) con testo di Andrea Nicoli che alza sensibilmente il tasso alcolico grazie all’ennesimo personaggio da leggende agresti, mentre Dusc compàign (Tutti uguali, ancora versi di Nicoli) riporta tutto sui binari della malinconia legata al violino di Venier con il pezzo più lungo dell’intero dischetto. Lasciando alla conclusiva Ce prôvi (Cosa provano, versi diTavan) il compito di chiudere i giochi con un pezzo ricco di metafore urbane e quasi gaberiano.

L’album (inciso tra l’Arcipelago Studio di Tarcento e i Delta Studios di Remanzacco, prodotto da Valter Colle) è già in vendita sul sito www.nota.it, ma anche in alcune librerie e negozi specializzati, oltreché su Amazon, Ibs e iTunes. La presentazione ufficiale, live e con band, è invece fissata per il 16 dicembre al Ridotto del teatro Verdi di Pordenone. Due settimane prima, il 2 dicembre, Franco Giordani e il brano Revelli saranno invece finalisti del Festival Suns Europe sul palco amico del teatro Giovanni da Udine.

Vogliate gradire!

Daniele Benvenuti / Spettakolo! 25 ottobre 2017

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